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Le giornate per tirarci su il morale

  • Il Centrista
  • di Pino Pisicchio
  • 21 Marzo 2023
  • 4 minuti di lettura

Ieri, 20 marzo era la giornata mondiale della felicità.

Oggi, 21, il primo giorno di primavera - come cantavano con qualche tristezza abbandonica i Dik Dik 54 anni fa - è la giornata della poesia. E che vogliamo di più dalla vita? Felici di poetare ci rivolgiamo grati all’ONU che ci affranca dalle ordinarie mestizie consolandoci con questa endiadi strepitosa e profondamente umana che si tiene insieme per sua intrinseca natura.

Infatti, con tutto l’affetto che il nuovo art. 9 della Costituzione rivolge agli animali, la piccola differenza che qualche volta (non sempre, in verità) distingue l’essere umano dall’essere animale è la capacità di poetare e di provare l’emozione della felicità per un gesto artistico, per un innamoramento, per esempio, e non solo per un piatto di bucatini all’amatriciana (che comunque avrebbe il suo che...).

Finora, infatti, non si ha notizia della sindrome di Stendhal a carico di una foca monaca messa al cospetto di un’opera del Botticelli. Finora, domani chissà. Noi qua stiamo, pronti a cambiare pensiero di fronte all’evidenza. Ma, andando per ordine, la giornata della felicità non va presa sottogamba, perché è una cosa seria che ha a che fare con le costituzioni.

L’espressione “diritto alla ricerca della felicità” l’incontriamo nel preambolo della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, firmata da Jefferson nel 1776, dopo la supervisione dell’illuminista napoletano Gaetano Filangieri, che la ebbe da Benjamin Franklin, e propose la sostituzione di una originaria espressione, “diritto di proprietà”, con quella, appunto, che fa riferimento al perseguimento della Felicità. Diritto inalienabile insieme alla Vita, e alla Libertà.

Nel preambolo, giustamente, sono tre parole scritte con l’iniziale maiuscola. Per la verità Jefferson non rimase solo nella proclamazione del primo diritto: gli facevano eco le costituzioni della Rivoluzione Francese che fece da lievito alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, dove il riferimento è esplicito. Si legge all’ articolo 1: “Lo scopo della società è la felicità comune. Il Governo è istituito per garantire all’uomo il godimento dei suoi diritti naturali e imprescrittibili”. Più chiaro di così. Ma il costituzionalismo ottocentesco lasciò qualcosa anche da noi in Italia: lo Statuto Albertino evocava la “Nazione felice”.

Ancora oggi, nell’altro pizzo del mondo, in Giappone, si ritrova in Costituzione, all’art. 13, la triade dei valori del Preambolo americano: “Vita, Libertà e ricerca della Felicità. Insomma: non è poi così peregrina la Felicità tra i grandi valori condivisi. E, a ben vedere, finite le ideologie a che servirebbe la Politica se non a costruire il ben-essere degli esseri umani?

La poesia, disse una volta Monica Vitti, è la grazia di usare parole come speranze, sono occhi nuovi per reinventare quello che vediamo. Per capirne il senso occorre forse anche scavalcarne le tecniche, il genere letterario e andare all’essenza più profonda della persona umana. Chi non ha incontrato la poesia nella sua strada di giovane uomo o di giovane donna, oltre i doveri scolastici di lettura (una volta anche di memoria)? La poesia è dunque impastata di umano: è il senso ritrovato dell’assenza ultima di cui siamo fatti sorvolando la brutta prosa di un quotidiano coi paraocchi, sganciando nel buco nero del reale le zavorre e andando oltre. È quel pizzico di eterno a cui apparteniamo di diritto.

L’ideale? Quando felicità (che è il destino dell’uomo) e poesia ( che è l’impasto dell’uomo) stanno insieme, magari nella persona di un poeta che s’implica delle sorti della gente. Un politico-poeta. E allora chiudiamo con uno di quelli buoni, Senghor, presidente del Senegal e autore del brano di una bellezza vibrante, che riporta risonanze del Cantico dei Cantici: “Donna nera”.

Donna nuda, donna nera
Vestita del tuo colore che è vita, della tua forma che è bellezza!!
Sono cresciuto alla tua ombra; la dolcezza delle tue mani mi bendava gli occhi.
Ed ecco che nel cuore dell’Estate e del Meriggio
Ti scopro Terra Promessa, dall’alto di un alto colle calcinato
E la tua bellezza mi folgora in pieno cuore come il lampo di un’aquila.

Ecco, un potente a capo di un popolo che seppe anche poetare. È quasi felicità.

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