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L'eterno ritorno del Centro bloccato dalla diaspora e dai personalismi

  • Il Centrista
  • di Pino Pisicchio
  • 05 Marzo 2024
  • 3 minuti di lettura

di Pino Pisicchio

Un che di desueto continua a tenere campo nel dibattito pubblico italiano, riportando echi di chiavi antiche, dominate da atlanti ideologici non più attuali.

La politica - o ciò che è rimasto dei partiti oltre il participio passato del verbo partire - si è fatta fluida e il corpo elettorale che si reca al voto, tra poco una minoranza, si è fatto poco identitario: scomparse le grandi famiglie politiche del Novecento, si è fatto volubile e presta volentieri orecchio al "mood" del momento, come si farebbe per un prodotto commerciale. Tuttavia non appaiono tramontati del tutto i grandi perimetri culturali che, all'ingrosso, contengono i valori originari:

destra, sinistra, centro resterebbero ancora riferimenti in cui poter trovare rispecchiamento, propendendo per liberismo, egualitarismo o solidarismo. In questo schema di massima, che però non esclude contaminazioni, si esercita quel che rimane del dibattito pubblico e, assunte per definizione le aree contrapposte destra/sinistra, fa fatica a trovare spazio la "terra di mezzo".

Benemerita, allora, la riflessione corale avviata da Avvenire con i puntuali approfondimenti di Angelo Picariello. Qualche rapida notazione, allora, sul senso del "Centro" oggi, partendo dalle nostre premesse ci permettiamo di farla, rifuggendo innanzitutto da una "trappola cognitiva" difficile da rimuovere: la sovrapposizione tra "centro" e Dc, nella sua esperienza storica primigenia e nella sua declinazione "popolare" alla metà degli anni Novanta del secolo scorso. Questa trappola ha nutrito per trent'anni l'ossessione del richiamo a quella età dell'oro, ragionando su un'equazione basata sull'idea che quel popolo di centro che aveva sempre offerto al partito maggioritario un consenso non inferiore al 38 per cento, si fosse preso solo una piccola vacanza per punire i cattivi e fosse oggi desideroso di riaccasarsi sotto quei rassicuranti stemmi.

Ovviamente non è così, e i tentativi di clonazione degli scudi crociati, romantici o furbeschi che fossero, sono apparsi velleitari e, in verità, persino ingiuriosi talvolta, rispetto a tanto passato. Semplicemente il nuovo tempo è smemorato e poi non ci sono più rendite di posizione. Litalia ha bisogno di Centro, inteso non come spazio toponomastico, ma come forza propulsiva e aggregativa di popolo?

Siamo convinti di si, perché lo stress istituzionale cui ci conduce un bipolarismo conflittuale (peraltro ideologico e pregiudiziale) potrebbe essere corretto solo dalla presenza di una forza intermedia capace di tenere insieme il solidarismo, i principi democratico-liberali e il paradigma repubblicano declinato nella Costituzione.

Ma dichiarare un bisogno non significa aver indicato la soluzione, se continuerà il "leit motiv" della diaspora coltivato alacremente negli ultimi decenni. Rispetto al passato le divisioni oggi si alimentano anche dei personalismi che caratterizzano l'impianto leaderistico delle nuove formazioni politiche. E così continuiamo a coltivare il nostro mantra del dover essere, come facciamo con l'Europa: c'è bisogno di una Unione forte e unita per mettere equilibrio in un mondo globale squassato, ma quell'Europa non pare alle viste.

Speriamo nel prossimo Parlamento, quello che si eleggerà a giugno, quello stesso che aspetta che il Centro che non c'è si manifesti e batta il suo gradito segno di vita.

Pino Pisicchio

(Avvenire, 3 Marzo 2024).

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