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Quella folla senza testa e il politico dai giorni facili. Pilato è ancora fra noi.

  • Il Centrista
  • di Pino Pisicchio
  • 03 Aprile 2023
  • 3 minuti di lettura

Si può essere cristiani, agnostici, atei, seguaci delle più lontane religioni, ma con Ponzio Pilato tutti devono fare i conti. Li ha fatti da sempre la letteratura, da Anatole France a Bulgakov, da Nietzsche a Diego Fabbri, per molti anche al Dante Alighieri della terzina dove si parla di «colui che fece per viltade il gran rifiuto», citazione dai più attribuita a Celestino V.
Li ha fatti il cinema, Damiano Damiani e Luigi Magni, per restare a casa nostra. Li ha fatti, ovviamente, la teologia. Perché Pilato è forse il più politico tra i personaggi evangelici e, per questo, certamente tra i più drammatici, insieme a Giuda.

Pilato ha la consapevolezza dell’innocenza di Cristo ed è chiamato ad una scelta che compete al suo ruolo. Non la fa e lascia andare a morte ingiusta un uomo giusto. Anche la moglie lo aveva ammonito raccontando del suo sogno e del suo presagio: non fare del male a Cristo. Pilato compie quel gesto del lavacro delle mani che diventerà per sempre il simbolo della fuga dalle responsabilità. I Vangeli non sono narrazioni di politica perché non annunciano l’avvento di regni terreni, ma inevitabilmente, dicendo di cose umane, attraversano la politica e il potere. Cristo non è una fazione, un partito, una porzione del potere: impiegherà tutta la sua breve vita per spiegarlo. Egli è tutto, la fonte, l’origine. Ma il potere terreno l’avversa, perché non lo comprende o perché lo teme.

Dunque lo combattono i custodi del rito vecchio, i Farisei, che temono di venire travolti dalla forza rivoluzionaria della sua parola. Locombatterà persino il suo discepolo Giuda, per ragioni opposte: perché Cristo fa della rivoluzione un gesto intimo e non uno strumento di lotta. In mezzo Pilato. Lui conosce l’innocenza di Gesù e può decidere di salvarlo. Ma non lo fa, mettendo mano ad una procedura che ricorda il moderno referendum. Si rivolge al popolo in un empito di democrazia diretta e al popolo chiede di scegliere se salvare un pendaglio da forca di nome Barabba o un innocente di nome Gesù.

La folla non ascolta altre ragioni e, sobillata dai grandi sacerdoti del sinedrio, chiede la crocifissione di Cristo. Anche qui un «luogo» politico che sarebbe piaciuto a Le Bon, lo studioso della psicologia delle folle e a Polibio, quando parla di «oclocrazia», che significa governo delle masse informi, per indicare la degenerazione ultima delle forme di governo.

C’è parecchio materiale che urla da duemila e passa anni messaggi di senso alla politica di oggi. Il primo riguarda il ruolo di chi è chiamato a servire lo Stato da posizioni di potere e tocca i tasti dei doveri della responsabilità e della coscienza. Che poi sarebbero i capisaldi dell’etica politica: non sottrarsi alla scelta e non tradire le proprie convinzioni per opportunismi e convenienze. Il secondo riguarda le forme della democrazia: i moderni hanno inventato la rappresentanza che supera l'utopia (infelice) della democrazia diretta.

La rappresentanza implica riflessione, dialogo, approfondimento, non emotività. Una piazza s’incendia velocemente anche sulla falsa notizia, oggi si direbbe fake. Pilato, il politico dei giorni facili, che fugge dalle responsabilità, e la folla senza testa, materia plasmabile con una fake. Forse non si tratta soltanto di narrazioni antiche: forse sono ancora fra noi. Magari sotto forma di realtà aumentata e di Intelligenza Artificiale.

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