JPLUS_TOP

Taci, il nemico ti ascolta! Dall' "Italietta" giolittiana agli spioni cibernetici

  • Il Centrista
  • di Pino Pisicchio
  • 10 Marzo 2024
  • 3 minuti di lettura

Le cronache stile spystory di questi giorni, mi richiamano alla mente storie antiche. Una ventina d’anni fa, aprendo uno dei due quotidiani più famosi d’Italia, m’imbattei nel paginone della cultura che parlava di me e non per criticare un mio libro. In realtà si trattava di un articolo lungo e argomentato che riportava, avvenuto lo sdoganamento per caduta del top secret per un po’ di referti della polizia che si occupa di politica, l’esito di un’osservazione accurata riservata a personalità note della politica nazionale e tra queste anche un giovanotto di 19-20 anni, appena in odore di università. Quel giovanotto ero io Con gli occhi sgranati presi atto delle ragioni di quel fervore indagatorio: ero caduto nell’area degli “investigabili” perché con altri colleghi iscritti alla facoltà di Giurisprudenza, avevamo formato un’associazione culturale di amicizia con i paesi del Maghreb e, tra questi la Libia. La qual cosa all’epoca evidentemente aveva fatto scattare un’allerta investigativa.

L’aspetto comico della faccenda veniva dai verbali che, dopo appostamenti e occhiute sorveglianze, concludevano dicendo che il soggetto in questione non rappresentava un pericolo per la nazione (meno male!), essendo tra l’altro un adepto di Comunione e Liberazione. Cosa peraltro non precisamente vera perché all’epoca ero un dirigente nazionale dei giovani dc. Quello che ricordo di quel periodo remoto, però, era un insistito attacco di una testata giornalistica minore contro la mia persona accusata di essere un “amico di Gheddafi”. Il che racconta di possibili corto-circuiti tra chi indaga e qualcuno che passa le carte a chi scrive.

La storia, sgradevolissima, del finanziere spione che maneggia e distribuisce ai media,con sapiente strategia, 10.000 file di persone pubbliche a vario titolo dalle stanze insospettabili della direzione antimafia, sembra uscita dritta dritta dagli anni trenta. C’è maleodore di OVRA, la polizia segreta di Mussolini, che accumulava dossier sulle debolezze di uomini di regime e avversari- storie di corna, inclinazioni sessuali fuori dal consentito, piccole beghe familiari e passaggi di danari- pronte a spuntar fuori nel momento giusto per distruggere carriere, ammansire riottosi, dirozzare avversari.

Si dirà: chi s’impiccia per mestiere, coperto da ogni immunità, delle intimità di ogni cittadino, o dev’essere nato arcangelo, come Gabriele, o Gene Hackman immerso nella deontologia professionale dello spione in quel magnifico film di Coppola (La conversazione, 1974), oppure l’esposizione costante a quella materia incandescente può creare danni seri al delirio d’onnipotenza di chi maneggia. Il tema è politico, ma ha anche implicazioni etiche enormi : l’ontologia dello spione, l’etica dell’intelligence.

L’in sé di chi opera in questo campo è il nascondimento, il chiaroscuro, l’ambiguità a fin di bene: per l’interesse superiore della nazione e della democrazia. Ma se l’essenza del processo democratico è la trasparenza, come possono essere accettate zone in chiaroscuro ed ambiti di ambiguità? Abbiamo bisogno di chi lavori nel buio per noi, per la nostra sicurezza? Oggi più che mai, diremmo, sotto attacco continuo da parte della cybercriminalità. Ma che c’entra, allora, il dossieraggio del tenente della finanza Pasquale Striano e dei suoi compari? Una storia antica di comportamenti devianti che talvolta si ha l’impressione che rappresenti un condimento costante del discorso pubblico nazionale, a partire dall’«Italietta» giolittiana per sbarcare nel tempo odierno, era del dominio cibernetico. Un tempo che ci fa portare, col nostro entusiasta consenso, gli spioni in tasca, con quell’arnese che si chiama smartphone.

Pino Pisicchio

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 10 Marzo 2024)

JPLUS_TOP